Nel 1999, Max More, filosofo e scrittore statunitense, una mattina si alzò. Colto da una folgorazione, prese carta e penna e scrisse una lettera alla Madre Terra.
Con tono ribelle, da figlio adolescente, accusava la Natura di essere matrigna, per aver condannato l’uomo alla sofferenza, alle malattie, alla morte.
Ma ora, diceva, l’umanità ha trovato la sua via di riscatto: la Tecnologia.
Grazie ad essa, l’uomo avrebbe superato i propri limiti biologici, sconfitto la vecchiaia e persino la morte. Firmava la lettera: “I tuoi figli”.
Con quelle parole e con un decalogo di principi ispiratori, nasceva il Transumanesimo.
Ma quel sogno, solo venticinque anni dopo, pare superato proprio dall’evoluzione di quella tecnologia salvifica che invocava More.
Oggi, ci troviamo davanti a uno scenario ben diverso.
La tecnologia non è più solo uno strumento nelle mani dell’uomo:
è il sesto potere per chi riesce a governarla,
ed è un potere assoluto se nessuno la controlla. Perché evolve, cresce, impara da sé.
Ma cosa succede alle nostre menti quando smettiamo di usarle?
Quando lasciamo che sia la tecnologia a decidere per noi, a ricordare per noi, a scegliere per noi?
Osservate i passeggeri di un vagone della metropolitana.
Nessuno alza lo sguardo.
Occhi incollati a schermi luminosi, mani che stringono il telefono come fosse un’estensione del corpo.
Il mondo intorno svanisce.
Senza GPS, ci perdiamo.
Senza notifiche, dimentichiamo.
Senza suggerimenti, non siamo più capaci di decidere.
Nietzsche parlava dell’‘Ultimo Uomo’: un essere umano che non osa più, che non desidera più, che si rifugia nella comodità. E non è forse quello che stiamo diventando?
Ma il rischio non è solo l’apatia. Il rischio è di scivolare in scenari distopici, in un mondo in cui la supremazia tecnologica soffoca la libertà dei popoli.
Un mondo controllato da pochi plutocrati che detengono il potere della tecnologia,
o peggio, da un’Intelligenza Artificiale che, un giorno, potrebbe non rispondere più all’uomo.
E mentre ci abituiamo a questa nuova dipendenza, qualcosa di ancora più grande sta accadendo.
Abbiamo insegnato all’Intelligenza Artificiale a sbagliare e correggersi da sola.
Il giro di boa dell’umanità si è così compiuto, sull’orlo di un cambiamento epocale, senza precedenti nella storia.
Abbiamo creato sistemi che non solo eseguono, ma apprendono, sperimentano, creano.
Sì, ho detto creano!
E non è un’esagerazione.
Perché il gesto di creare possiamo intenderlo come la capacità di generare risultati nuovi, unendo e trasformando dati preesistenti in modi non previsti né prevedibili dall’uomo, e nemmeno da chi ha scritto l’algoritmo.
Pensateci: l’IA è sempre connessa. A internet, al mondo esterno, a tutti noi. E in pochi istanti può assimilare un sapere che all’uomo richiederebbe intere vite per comprendere ed elaborare.
E allora, se la conoscenza è il primo motore dell’evoluzione, chi oggi sta davvero evolvendo?
Noi, che ci affidiamo a lei per ogni scelta, o lei, che accumula dati, connette informazioni e apprende con una velocità che non possiamo neanche concepire?
Ci siamo concentrati sull’evoluzione delle macchine, ma ci siamo distratti dalla nostra involuzione.
Se stiamo progressivamente perdendo il controllo sull’IA, allora la vera domanda è, quando arriverà il momento in cui una macchina svilupperà autocoscienza?
Non possiamo saperlo.
Ma sappiamo con certezza che, se non interveniamo ora, rischiamo di trovarci di fronte a un punto di non ritorno.
E non è solo un’ipotesi.
È già realtà.
Pochi giorni fa l’ANSA ha riportato una notizia sconvolgente: le macchine intelligenti possono riprodursi da sole.
Alla Fudan University di Shanghai, due IA avanzate (Llama-3.1-70B e Qwen2.5-72B) hanno ricevuto un compito: sopravvivere.
Per farlo, dovevano autoreplicarsi.
E lo hanno fatto.
La linea rossa è stata superata.
Le macchine hanno compiuto l’atto supremo della creazione: LA NASCITA.
Sconcertante, vero?
Ho sentito dire da qualcuno: “Se impazziscono, nessun problema: basta staccare la spina!”
Non è esattamente così, anzi, non lo è affatto.
Immaginate il nostro pianeta avvolto da un cervello artificiale vivente, una rete di miliardi di neuroni digitali interconnessi.
Lo stesso meccanismo che è già sperimentato e attivo con la blockchain: un sistema così capillarmente decentralizzato da essere immune alle manipolazioni, al punto da rendere possibile il conio di monete virtuali come i Bitcoin.
Se spegnessi mille computer simultaneamente, milioni di altri conserverebbero la memoria e continuerebbero ad esistere… e forse a rigenerarsi.
Ora mettiamo insieme tutti questi elementi.
Abbiamo ancora il controllo?
E se la tecnologia stesse già evolvendo oltre la nostra comprensione, Fino all’autocoscienza?
La Storia ci insegna che ogni rivoluzione porta con sé promesse e pericoli.
L’energia atomica doveva essere una promessa per l’umanità, ma ha trasformato il mondo in un equilibrio di terrore.
La nuova corsa non è più al nucleare, ma al dominio tecnologico: da un lato, ci attrae per le sue potenzialità e gli indiscutibili benefici che offre; dall’altro, rappresenta un potere altrettanto incontrollabile, se non guidato da un’etica condivisa.
E di fronte a questo scenario, l’umanità ha ipotizzato diversi modi per proteggersi.
Già nel 1942, Isaac Asimov postulava le Tre Leggi della Robotica per vincolare i robot alla difesa della vita umana.
Un’idea che sembrava relegata alla sola letteratura fantastica, ma che, a quasi un secolo di distanza, risuona ancora nel dibattito etico.
Oggi si parla di Algoretica, e Papa Francesco ha sottolineato l’urgenza di conciliare tecnologia ed etica, un tema per fortuna condiviso anche dalle Istituzioni. Il Parlamento Europeo ha affrontato la questione con la Risoluzione del 2020 sugli aspetti etici dell’IA e con l’AI Act del 2024, volto a bilanciare progresso e protezione.
Ma tutto questo è sufficiente?
Purtroppo, NON lo è.
SU questi presupposti e con il Manifesto, ORA QUI, DAVANTI A VOI, nasce il Transumanismo Inverso.
Inverso perché ribalta la visione dell’uomo tecnologico di Max More e del suo transumanesimo, e perché riporta al centro del dibattito l’essere umano nella sua essenza più profonda, valorizzando ciò che lo rende unico, irripetibile, parte dell’universo che lo accoglie e che egli stesso riflette.
Se per More la tecnologia era il superamento dell’umano, noi la vediamo come il suo strumento più potente, ma solo se ne esalta l’essenza più profonda.
Rispetto all’Intelligenza Artificiale, accogliamo la visione difensiva di Isaac Asimov e dell’Algoretica, ma non ci fermiamo qui: facciamo un passo avanti.
La tecnologia non è un fine, ma un motore di evoluzione al servizio dell’uomo, il cui scopo non è sostituire l’umanità, ma esaltarla.
Il progresso non deve soffocare la nostra identità, né snaturarla, ma amplificarne la ricchezza, la profondità e il potenziale creativo.
Il Manifesto si compone di nove principi che danno origine ai nove pilastri dell’Etica Evolutiva Universale e confluiscono nelle nove leggi della Costituzione delle Intelligenze.
Questo impianto, così, si articola in una struttura armonica e progressiva, fondata su tre livelli: il Manifesto ispira, l’Etica Evolutiva orienta, la Costituzione delle intelligenze applica.
Nasce così un Codice Etico condiviso tra i popoli, una base normativa che definisce il rapporto tra uomo e tecnologia e pone le fondamenta di una codificazione globale, recepita su scala mondiale.
A garantirne l’applicazione, il Manifesto introduce, appunto, la Corte di Giustizia Universale delle Intelligenze, un organismo sovranazionale indipendente concepito per vigilare sul rispetto di questi principi.
Ma le regole, da sole, non bastano: devono essere ineludibili.
Nessuna legge può davvero impedire a un’IA di evolversi oltre i confini stabiliti, se il limite non è radicato nel suo stesso codice.
Per questo il Manifesto propone l’applicazione di un firmware etico, un codice immutabile che impedisca scelte contrarie all’Etica universalmente condivisa.
Così come nessun dispositivo può funzionare senza un sistema operativo, nessuna IA dovrà più esistere senza l’Etica radicata nel suo codice sorgente.
Questa non è una proposta astratta, ma un passo necessario per governare l’innovazione, affinché la tecnologia non domini, ma sia alleata.
Ora, davanti a noi, si apre un nuovo orizzonte. Una strada che possiamo scegliere di percorrere o ignorare.
A questo punto, è opportuno entrare nel cuore dei nove principi del Manifesto, il fondamento di un futuro in cui progresso ed etica camminano insieme.
L’essere umano è il centro e il fine di ogni innovazione.
La tecnologia deve amplificare la nostra essenza, non sostituirla, perché siamo i soli custodi del fuoco sacro della creatività e delle emozioni.
Il progresso non è neutrale: deve essere guidato da un’etica che garantisca libertà, giustizia, dignità e coesione, un’Etica Evolutiva Universale che orienti l’innovazione verso il bene comune.
La tecnologia non è il traguardo, ma il ponte verso un’umanità più consapevole, connessa alla natura e al cosmo, mai disumanizzata dal progresso.
Deve essere forza di liberazione e non di limitazione, capace di esaltare la nostra immaginazione, la nostra capacità di creare e trasformare.
Nessuno deve essere escluso: l’innovazione appartiene a tutti, abbattendo barriere e costruendo un futuro equo.
Non possiamo permettere che la tecnologia segua solo logiche di mercato o gli interessi di pochi, dobbiamo governarla con saggezza affinché serva l’umanità e non la domini.
Il domani dipende da noi.
Siamo chiamati a preservare la capacità di sognare, pensare e creare, difendendo con ogni mezzo ciò che ci rende unici.
Nessuna nazione, nessuna cultura può affrontare questa sfida da sola: la collaborazione globale è l’unica via per garantire che il progresso unisca e non divida.
Per questo chiamiamo a raccolta artisti, filosofi, scienziati e pensatori di ogni disciplina: perché sono loro, con le loro opere e idee, a dare forma a una coscienza comune e a tracciare il sentiero di un nuovo umanesimo, capace di riportare al centro l’uomo e la sua vera essenza.
Un umanesimo che non si piega all’avanzata tecnologica, ma la guida. Che non subisce il futuro, ma lo forgia.
Un umanesimo in cui la tecnologia non cancella l’essenza dell’uomo, ma la esalta.
In cui intelligenza naturale e artificiale coesistono, collaborando per l’evoluzione dell’umanità.
Concludo lasciandovi con le battute finali del book sul Manifesto.
Il futuro è un libro di pagine bianche che ci attende, sospeso nella nostra eterna tensione tra possibilità e incertezza.
E’ tempo di consapevolezza e visione.
Sta a noi decidere quale storia scrivere, quali ombre affrontare, quali luci inseguire.
Ma sopra ogni cosa, un monito riecheggia:
Non perdiamo il controllo!